Abbazia San Pietro in Valle

Storia

L’ABBAZIA

Allorché nel V secolo D.C. sul trono dell’Impero Romano d’Oriente si sedette Anastasio I, fedele all’eresia monofisita, molti monaci ed eremiti siriaci si recarono in pellegrinaggio a Roma, sbarcando a Ravenna, città che apparteneva all’Imperatore di Costantinopoli e poi dirigendosi verso la città eterna per la via Flaminia. Alcuni fra questi eremiti, con l’autorizzazione di Papa Ormisda, si fermarono poi lungo la via Flaminia o nei suoi pressi, fondando eremi o abbazie e tale abitudine proseguì ben oltre la fine del regno di Anastasio, specialmente dopo la conquista dell’Italia centrosettentrionale da parte dei Longobardi, da tempo turbolenti alleati dei bizantini. La valle del fiume Nera, selvaggia e poco popolata, nei pressi della via Flaminia, percorsa da una via di collegamento verso il mar Adriatico ma coperta di boschi e percorsa da numerosi corsi d’acqua, fu una scelta naturale per alcuni di questi eremiti; secondo la tradizione uno dei più famosi di loro definiva infatti la valle del fiume Nera “un deserto con boschi e fiumi”. Ovviamente il paragone non era strettamente geografico, ma riferito alla solitudine ed alla spiritualità dei luoghi.
I più famosi fra tali eremiti furono Santo Spes e Sant’Eutizio, fondatori dell’abbazia di Sant’Eutizio a Preci, presso Norcia. Secondo la tradizione lo stesso San Benedetto per un certo periodo, prima di partire per Roma per terminare la sua formazione, trascorse un periodo di studo nell’abbazia di Sant’Eutizio e fu in tale luogo che cominciò a maturare l’idea di regolare la vita monastica.
Fra gli eremiti che si stabilirono in Valnerina ci furono Lazzaro e Giovanni, della cui vita nulla sappiamo, se non che ebbero fama di grandi guaritori e presero come discepolo un altro eremita, Giacomo. Lazzaro e Giovanni si sistemarono in alcune grotte sulle pendici del monte Solenne, nella valle Suppegna. Narra la leggenda che il duca longobardo di Spoleto, Faroaldo, recatosi a caccia nella Valnerina, si riposò dalle fatiche del viaggio e, mentre dormiva, gli apparve in sogno San Pietro, il quale gli intimò di costruire un’abbazia nei luoghi del romitaggio dei due siriaci. La leggenda non chiarisce se si trattasse di Faroaldo I, il fondatore del ducato di Spoleto, probabilmente vissuto nello stesso periodo dei due eremiti, o Faroaldo II il santo, che guidò il ducato all’inizio dell’VIII secolo. Presumibilmente, anche se non si possono avere certezze, fu Faroaldo II ad erigere l’abbazia di San Pietro in Valle nei luoghi in cui i due eremiti si erano stabiliti, la tradizione infatti narra che Faroaldo II si impegnò nell’edificazione dell’abbazia di san Pietro in Valle, inoltre ingrandì l’abbazia di Farfa e l’abbazia di sant’Eutizio, facendo loro numerose donazioni.
L’edificazione dell’abbazia di san Pietro in Valle ebbe grande importanza dal punto di vista spirituale, in quanto essa rapidamente divenne l’abbazia principale del ducato di Spoleto, ma ebbe grande importanza anche dal punto di vista politico, in quanto i duchi longobardi affidarono ai monaci, che erano le persone di maggior cultura dell’epoca, larghe zone da amministrare. All’epoca la regola in uso era quella benedettina, e così anche l’abbazia di San Pietro in Valle fu una abbazia benedettina e seguì la regola e le consuetudini di Montecassino. In un momento di grande incertezza, in cui eserciti poco disciplinati vagavano per l’Italia e l’analfabetismo si diffondeva anche l’abbazia fu un faro di cultura e di spiritualità per delle genti che non sapevano a chi altri rivolgersi.
I Longobardi erano grandi guerrieri, ma non brillavano certo per gentilezza. Il re longobardo che conquistò l’Italia nord orientale, Alboino, venne assassinato dalla moglie Rosmunda e dal suo amante Elmichi nottetempo, con la complicità di un guerriero della guardia reale, e sventrato senza troppi complimenti mentre provava a difendersi usando uno sgabello, il suo successore, Clefi, pur non essendo coinvolto in tresche amorose, venne parimenti sgozzato, anche lui da uno dei guerrieri del suo seguito. Per ben dieci anni, in seguito a questi fatti, i Longobardi non ebbero un unico re, e fu nella confusione che si generò che Faroaldo I venne chiamato dai ravennati a difendere il porto di Classe e poi, forse perché scaricato senza troppe cerimonie, lo depredò e quindi si diresse con il bottino ottenuto ed il suo esercito verso Roma, fondando il ducato di Spoleto e minacciando la stessa città eterna.
In questo clima era sempre più complesso trovare uomini di cultura fidati che potessero amministrare un territorio, e quindi affidare terreni sempre più estesi ai monasteri parve la soluzione più semplice, in quanto fra i monaci vi erano probabilmente le persone di maggior cultura dell’epoca e, nel prendere i voti, pronunciavano un giuramento di obbedienza e povertà. Oltre a questo, c’era il continuo pericolo che nuovi conquistatori scalzassero gli attuali governanti o che un nuovo duca volesse far piazza pulita dei fedeli del suo predecessore, e quindi coloro che avevano raggiunto delle proprietà che consentissero un minimo di agiatezza venissero spogliati degli averi e che questi venissero consegnati a persone fedeli al nuovo duca. Per evitare questo rischio a volte coloro che non avevano abbastanza uomini armati per difendersi donavano ogni loro bene ai monasteri, che nessun nobile avrebbe avuto il coraggio di depredare, ed in cambio ottenevano per sé stessi e per i propri discendenti la possibilità di amministrare i beni donati in nome e per conto dei monasteri donatari, pagando sì un canone, ma trovando un riparo certo dall’ingordigia di nuovi invasori. In questo modo i beni dei monasteri divennero enormi, ed in particolar modo quelli dell’abbazia di San Pietro in Valle, che arrivò ad amministrare territori siti nelle attuali Marche ed Abruzzo.
Faroaldo II aveva un figlio molto ambizioso, Trasamondo, il quale era un fervente oppositore della politica del re longobardo Liutprando, il quale voleva accentrare il potere nelle proprie mani diminuendo l’autonomia dei ducati. Trasamondo volle ben presto prendere il posto del padre, il quale, non ci è dato sapere se volontariamente o meno, abdicò ritirandosi a vita monastica proprio nell’abbazia di San Pietro in Valle, e da questo, dai conventi fondati e dalle numerose donazioni effettuate a conventi esistenti ebbe fama di santità. Trasamondo provò ad opporsi a Liutprando il quale, secondo la descrizione di Paolo Diacono, era alquanto ignorante ma guerriero forte, intelligente e saggio, e quindi sconfisse il nuovo duca di Spoleto, il quale si rifugiò a Roma. Liutprando nominò duca di Spoleto Ilderico, nome da ricordare in quanto ordinò la realizzazione del celeberrimo paliotto d’altare della chiesa dell’abbazia di San Pietro in Valle, una delle più famose opere d’arte longobarda. La nomina non portò fortuna ad Ilderico, in quanto Trasamondo, che era riparato a Roma, non appena Liutprando tornò a Pavia, in accordo col Papa ed il duca di Benevento, suoi alleati, tornò a Spoleto ed uccise Ilderico. Liutprando tornò a Spoleto, sconfiggendo di nuovo Trasamondo, ma stavolta il re longobardo ebbe la lungimiranza di concludere un accordo con Papa Zaccaria, incontrandolo personalmente a Terni, così, anni dopo aver effettuato la famosa Donazione di Sutri, dalla quale prese origine lo Stato Pontificio, finalmente tornavano sereni i rapporti fra il re longobardo ed il papato. Una stele che ricorda l’evento è posta nella chiesa di San Salvatore a Terni. A Trasamondo non restò che seguire il destino del padre, dovette infatti prendere i voti e ritirarsi anche lui nell’Abbazia di San Pietro in Valle. Morto Liutprando Trasamondo tentò di recuperare il ducato, ma di lì a poco morì anche lui.
Nulla cambiò nell’importanza dell’abbazia con la conquista del regno longobardo da parte di Carlo Magno, le cose però precipitarono nel IX secolo. Verso la metà del secolo infatti il ducato di Spoleto passò alla potentissima famiglia spoletina dei Guidoni, che aveva grandi ambizioni, ben superiori ai confini del ducato, mentre, nel frattempo, i saraceni conquistavano Gaeta ed iniziavano ad insidiare addirittura Roma. Guido II, allora Duca di Spoleto, colse l’occasione delle dispute fra gli ultimi carolingi e prese in mano la situazione italiana, attaccando i saraceni e sconfiggendoli sul Garigliano, quindi obbligò Papa Formoso a nominare il figlio Lamberto prima re d’Italia e poi imperatore del Sacro Romano Impero e quindi successore di Carlo Magno. Papa Formoso, che non gradiva affatto le intromissioni dei guidoni nelle faccende romane, chiese aiuto all’ultimo dei carolingi, Arnolfo di Carinzia, il quale scese in Italia nell’896, venne nominato imperatore dallo stesso Papa Formoso e sconfisse pesantemente Lamberto, inseguendolo fino alle porte di Fermo. Durante l’assedio Arnolfo fu colto da ictus e venne riportato nei suoi possedimenti in Baviera, dove visse in precarie condizioni di salute fino all’899. Nel mentre Guido II era morto prima dell’impresa di Arnolfo e Lamberto morì per una caduta da cavallo nell’898, gli spoletini ripresero il controllo di Roma ma non ebbero più uomini con lo stesso carisma di Guido e Lamberto. Addirittura la vedova di Guido II, Ageltrude, e Lamberto, poco prima di morire, organizzarono uno degli eventi più ridicoli della storia romana, il famigerato Sinodo del Cadavere. A Papa Formoso era succeduto Papa Stefano VI, fatto eleggere dagli stessi spoletini dopo aver ripreso il controllo di Roma, Lamberto ed Ageltrude convinsero il nuovo Papa ad esumare il cadavere di Formoso ed organizzare un processo per indegnità. Lo stesso Papa vestì i panni dell’accusa ed il cadavere di Formoso venne condannato, gli vennero tagliate le dita e venne gettato nel Tevere, dove fu raccolto da un frate che gli diede nuovamente sepoltura. Ovviamente in pochi anni questo processo farsesco venne annullato da Papa Giovanni IX.
Nel mentre i duchi di Spoleto pensavano prima alla conquista del soglio imperiale e della corona italiana, poi a vendicarsi di coloro che li avevano sconfitti, i saraceni ebbero mano libera ed opposizione solamente da signorotti locali, poterono quindi dedicarsi liberamente alle loro scorrerie. La Sabina ed i territori limitrofi, come la Valnerina, vennero percorsi in lungo ed in largo dai razziatori saraceni, che non risparmiarono l’abbazia di San Pietro in Valle, presa, depredata e data alle fiamme, come accadde nello stesso periodo anche all’abbazia di Farfa, quindi venne abbandonata.
Nel frattempo in Germania riusciva ad imporsi come imperatore del Sacro Romano Impero Ottone I di Sassonia, che consolidò l’impero dopo gli ultimi confusi anni dei carolingi e riuscì a fermare le terribili scorrerie degli ungari. Suo figlio Ottone II portò la guerra ai saraceni nel sud Italia, guerra che ebbe risultati controversi, ma obbligò i saraceni ad abbandonare l’Italia centrale. In seguito a questi eventi nel 996 Ottone III scese in Italia per vedersi confermare la corona imperiale da Papa Giovanni, e durante il suo viaggio fece cominciare i lavori di ristrutturazione dell’abbazia di San Pietro in Valle dal nuovo abate Riutprando.
Sotto la spinta degli imperatori l’abbazia rinacque grande e splendida, le migliori maestranze romane vi lavorarono, la chiesa venne ingrandita e decorata, quindi il convento venne riedificato diventando sempre più grande e magnifico.
Numerose torri difensive e piccoli castelli erano stati edificati in Valnerina durante le scorrerie dei saraceni, queste opere militari vennero restaurate, altre ne vennero costruite e lentamente attorno ad esse nacquero degli agglomerati che costituirono la base degli attuali centri abitati della Valnerina.
Dopo anni in cui l’abbazia amministrava una vasta estensione di territori, come nel resto d’Italia, inesorabilmente, nacquero numerosi comuni a limitare il suo potere. I monaci dell’abbazia, forti della loro autorità spirituale, riuscirono a destreggiarsi con le nascenti autorità locali mantenendo una larga influenza sulle genti locali. Per esempio è noto un accordo, risalente al 1186, per cui l’abate cedeva vari castelli e terreni al comune di Ferentillo, il quale però si impegnava a curare le opere difensive per tutelare l’abbazia, la quale manteneva i frutti dei terreni ceduti. L’abate quindi non era più formalmente proprietario di fortilizi e terreni, ma poteva comunque contare sulla protezione degli stessi fortilizi e poteva amministrare gli stessi terreni ceduti, anche se non più per proprio conto. In questo accordo è citato, fra l’altro, per la prima volta il castello di Umbriano, oggi abbandonato e diroccato, che è possibile ammirare dal parco e dalla maggior parte delle finestre dell’abbazia.
Il ducato di Spoleto, nel frattempo, era passato nei possedimenti di Matilde di Canossa, la donna più potente d’Italia, ed era quindi alleato con il papato, anche se formalmente manteneva la fedeltà all’imperatore. Con l’incoronazione di Federico I di Svevia quale imperatore le cose cambiarono. Durante la sua prima campagna italiana, nel 1155, il Barbarossa transitò in Umbria, assediò e distrusse prima Bevagna e poi Spoleto, diminuendo notevolmente l’autonomia e l’autorevolezza di quello che allora era il comune più importante del ducato, e consolidò il controllo imperiale sul ducato. Nel 1177 venne nominato duca di Spoleto Corrado di Urslingen, particolarmente vicino al Barbarossa, tanto che che per alcuni anni lo stesso giovanissimo Federico II visse presso la corte di Corrado, per un curioso disegno del destino proprio mentre nei pressi della dimora preferita da Corrado, ad Assisi, il giovane figlio del commerciante Pietro di Bernardone, il futuro San Francesco D’Assisi, prendeva parte ad una guerra contro Perugia proprio prendendo le parti imperiali, venne ferito ed in seguito a queste esperienze visse la crisi mistica che lo portò a ripensare la sua vita ed a diventare il poverello di Dio.
In quegli anni di rapporti intricati fra l’Impero ed il Papa il ducato di Spoleto passò diverse volte di mano, nel 1198 entrò a far parte dei possedimenti papali, poi tornò all’Impero e quindi entrò definitivamente a far parte dello stato pontificio nel 1230. In seguito a questi eventi l’abbazia di San Pietro in Valle venne tolta ai benedettini dell’ordine di Montecassino ed affidata ai cistercensi dell’abbazia di Chiaravalle di Fiastra, cominciando a perdere importanza politica ed autorevolezza, ma mantenendo intatta la sua importanza spirituale.
Nel 1302 Papa Bonifacio VIII tolse l’abbazia anche ai monaci cistercensi, ufficialmente “per il viver licenzioso dei monaci”, e la affidò al capitolo lateranense. Nell’abbazia, ormai diocesana e non più dipendente da alcun ordine monastico, tornarono monaci benedettini di osservanza tradizionale; i cistercensi infatti erano sempre monaci benedettini, ma con una regola modificata da Bernardo di Chiaravalle per i monaci dell’abbazia di Citeaux, che nell’XI secolo avevano avviato una profonda riforma della vita monastica.
Ben poco sappiamo del destino dell’abbazia durante la cattività avignonese, probabilmente però fu molto difficile mantenere il controllo e la pace del territorio, non a caso, prima del ritorno del Papa a Roma, il cardinale Albornoz, il cui compito era preparare tale ritorno, riempì la via Flaminia e le zone limitrofe di guarnigioni mmilitari ed imponenti rocche, fra cui la più famosa è quella di Spoleto.
Nel XV secolo oltre che l’importanza politica era ormai svanita anche l’importanza spirituale dell’abbazia, che divenne infatti abbazia in commenda ed affidata alla famiglia dei baroni Ancajani di Spoleto.
Nel frattempo la cittadina di Ferentillo era cresciuta ed era diventata centro di una contea, affidata alla famiglia Trinci di Foligno. Nel 1484 però vennne eletto Papa il nobile di origine genovese Giovan Battista Cybo, che prese il nome di Innocenzo VIII.

LA LEGGENDA

mini_storia_2La leggenda narra che due eremiti siriaci Giovanni e Lazzaro diretti verso lo spoletino in cerca di un luogo recondito e mistico, arrivassero in Valnerina e li costruissero un eremo divenuto luogo di culto tra le genti locali.
Dopo la morte di Giovanni, Lazzaro afflitto, pregò il Signore di consolarlo e questi fece apparire in sogno a Faroaldo II duca di Spoleto San Pietro, che lo invitò a costruire una chiesa ed un monastero in suo onore.

LA CHIESA

mini_storia_1La chiesa abbaziale è visitabile solo il fine settimana chiamando i delegati della Parrocchia o il parroco di Ferentillo, l’albergo annesso NON ha le chiavi della chiesa.

Abbazia San Pietro in Valle